martedì 9 settembre 2008

Il mio inizio


Scrivo questo blog principalmente per potervi mettere online la seconda parte della mia tesi di laurea, dal titolo sintetico "Il colore in The Village, di M. Night Shyamalan" discussa nel maggio 2008 presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell'università di Roma3, in modo che chiunque, qualora volesse, possa usufruirne ed eventualmente fare rimandi ad essa nei propri lavori o riflessioni.

Il titolo del blog prende spunto da una frase di Ejzenstejn a proposito della componente artistica di un film e delle scelte che vengono su di esso praticate.

Tale frase ha dato spunto a parte della tesi e a parte delle sue conclusioni.

Gabriele Tacchi



The Village


CAPITOLO 2


The Village
di M. Night Shyamalan

Informazioni essenziali


Breve biografia del regista

Manoj Nelliyattu Shyamalan, conosciuto come M. Night Shyamalan, nasce nel sud dell'India, nel 1970, da genitori indiani d'origine residenti negli USA. A sei settimane dalla nascita, giunge a Penn Valley, un sobborgo di Philadelphia. Formatosi in scuole cattoliche, si trasferisce poi a Manhattan dove, nel 1992, si laurea alla Tisch School of Arts (TSOA). Con due film minori alle spalle, all'età di 27 anni girerà il film campione d'incassi Il sesto senso, facendo così voltare lo sguardo del mondo del cinema sulle sue opere successive, grazie anche ai twist endigs, suo marchio di fabbrica che affascinerà gli spettatori. Con sette film all'attivo e uno in lavorazione, una casa di produzione da lui fondata (la 'Blinding Edge Pictures'), M. Night Shyamalan è tra i registi più considerati nel panorama cinematografico dell'ultimo decennio.

Praying with Anger (1992)
Ad occhi aperti (Wide Awake, 1998)
Il sesto senso (The Sixth Sense, 1999)
Unbreakable - Il predestinato (Unbreakable, 2000)
Signs (2002)
The Village (2004)
Lady in the Water (2006)
E venne il giorno (The Happening, 2008)

In ogni sua opera cinemografica Shyamalan mostra un mondo fantastico fatto di creature immaginarie come fantastmi, supereroi o alieni, che si mescolano con la nostra realtà. Tramite il racconto fantastico egli può raccontare storie che trattano le grandi tematiche proprie dell'uomo, come la fede, l'amore, i sentimenti o la paura, e tentare di riportare lo spettatore a provare quelle emozioni che sentiva in giovinezza, quando il buio era ancora un elemento generatore di visioni terrificanti.
Tramite i suoi racconti fantastici vorrebbe ricreare quella realtà sfuggente propria dei sogni, fatta di emozioni potenti, ma anche di incubi terribili (1).
In The Village viene raccontata la paura dell'ignoto tramite il punto di vista di una comunità di fine Ottocento, la cui tranquilla vita di campagna e l'innocenza delle persone permetteva ancora un sincerità di sentimenti che al giorno d'oggi risulta affievolita (2).

La natura artistica del regista

Ogni artista utilizza un proprio codice comunicativo e un proprio gergo, entrambi riconducibili all'inflazionatissima terminologia di 'stile' e 'genere' che viene loro affibiata. Purtroppo, specialmente nel XXI secolo, con l'avanzare della globalizzazione i concetti di 'arte' e di 'prodotto commerciale' vengono spesso confusi e quindi ci si trova a parlare più dello stile e del genere dell'artista che non dell'artista stesso, in funzione del riscontro mass-mediatico ottenuto.
L'opera d'arte può rendersi molto più fruibile e comunicativa rispetto a un prodotto di commercio, che invece mira a un target specifico secondo criteri di vendibilità e di mercato, eppure, anche se più ad ampio spettro, non ha certezze, perché non mira a nulla se non alla concretizzazione di se stessa. Al contrario, la comunicazione mass-mediatica per la vendita di un prodotto ha uno spettro di contaminazione minore, ma possiede senz'altro un riscontro e un ritorno economico sicuro, semplicemente perché fatto ad hoc per un target preciso e certo. Quindi avremo fiction televisive che prima di essere realizzate sono già state vendute alle case distributrici e 'film panettone' che dimostrano la mercificazione di quel genere, perchè utilizzano i comici, le celebrità di fama televisiva e le tematiche sociali da solotto del momento.
Gli artisti allora, da sempre votati al ruolo ipocrita del far da tramite tra linguaggio, senso, idea e movimento, si trovano oggi accaparrati sotto logiche di mercato che tutt'altro hanno a che vedere con la filosofia scenica, estetica e idealistica dell'arte, e molto hanno a che spartire con l'universo spettacolare del commercio mass-mediatico.    I cinema, i teatri, le mostre, i musei, le università e tutte quelle strutture che dovrebbero essere un ponte di lancio verso una diversa e diversificata forma di pensiero,  infiorettano un 'cartellone' e una 'programmazione' da palinsesto televisivo, con cabaret, nomi di richiamo, prodotti usa-e-getta, coloriture colossali e riproduzioni museali di puro gusto voyeristico.
Shyamalan riesce abilmente a superare questa crisi artistica sfruttando a proprio favore le logiche di mercato. Egli è riuscito a bilanciare quell'integrità artistica ricercata dal cinema indipendente e a sfruttare al meglio la commerciabilità del prodotto cinematografico, utilizzando attori di grande impatto mediatico come Bruce Willis o Mel Gibson. Il proprio stile registico rientra anch'esso in questa dinamica di equilibrio. Difatti non accentua volutamente alcune inquadrature o alcune battute, come invece accadrebbe in un certo cinema d'autore, per non appesantire la comprensione e la linearità narrativa. Tali elementi andrebbero probabilmente a influire sul successo a larga scala del film. C'è da dire però che vi si sofferma a sufficienza per suggerire una chiave di lettura ulteriore a quella presentata in superficie, permettedo così un approfondimento tematico.
Nella scelta che il regista ha effettuato per la trasmissione delle proprie forme d'arte c'è sicuramente l'utilizzo delle dinamiche di mercato, ma non sono viste come ostacolo alla trasmissione di idee, bensì come una possibilità da sfruttare, in contrapposizione sia ai film di botteghino, sia a quelle forme d'arte che si segregano all'interno di concetti come 'integrità artistica e morale' per paura di essere 'contaminate' dalle logiche commerciali.
Ejzenstejn a metà del XX secolo già intravedeva questa problematica. Egli infatti sosteneva che:

si è trattato e si tratterà sempre di rompere l'impassibile, assoluta, quotidiana correlazione degli elementi della realtà fenomenica (nel nostro caso, dei fenomeni cromatici) in nome dell'idea e dei sentimenti che cercano di parlare, di cantare o di urlare attraverso quegli elementi. Si tratterà di rompere un'armonia naturale o un'opposizione di colori, toni e tinte, e di ricomporla di nuovo in una qualità diversa, attraverso il prisma della volontà creativa dell'artista che ricostruisce cromaticamente il mondo. (3)

In poche parole, avverte l'artista di non lasciarsi coinvolgere dalla semplice realtà fenomenica e di mantenere la rotta su quelle idee che la propria sensibilità sente e ricerca. è l'artista che ri-costruisce il mondo tramite i colori, e non sono i colori del mondo che costruiscono l'artista.
Di fatto Shyamalan mantiene la rotta sfruttando al meglio il lato commerciale dell'industra cinematografica senza che esso intacchi il modo di trasmettere le proprie idee e la loro integrità. Nelle prossime pagine, si avrà modo di analizzare come.


Trama del film

Un villaggio di fine Ottocento è circondato da un bosco abitato da creature malvagie soprannaturali. Terrorizzati, gli abitanti non oltrepassano mai la linea di confine che delimita il paese. A causa delle ferite gravi di Lucius (Joaquin Phoenix), la sua innamorata Ivy (Bryce Dallas Howard), la cieca figlia del fondatore del villaggio, si sentirà in dovere di oltrepassare il bosco per andare a prendere le medicine nella città più vicina. Dopo essere riuscita a sopravvivere all'attacco di una delle creature e a raggiungere il limitare del bosco, ella scopre che il villaggio in cui è nata e cresciuta in realtà non è altro che parte di una messa in scena voluta da Edward (William Hurt), suo padre, per fuggire dal dolore che la malvagità della società moderna causa. Si scoprirà infatti che in realtà non è il 1897, ma l'epoca attuale.


Genesi del progetto

Per sua stessa ammissione, il regista ha dimostrato di voler essere molto meticoloso nella scelta dell'ambientazione, delle location e in quella degli attori. Voleva che il film riproponesse il senso di angoscia di Cime Tempestose di Emily Brontë, e che questo sfociasse in uno scary movie proprio delle storie di Hansel e Gretel. Per mettere in scena questo tipo di emozioni e sensazioni ha ripreso il periodo storico del libro della Brontë, l'Ottocento, e lo ha farcito di connotazioni fantastiche e tenebrose (4).
La peculiarità che gli uomini del periodo sostiene avessero, ovvero l'innocenza, gli servirà nel film per attuare un forte contrasto tra realtà effettiva e realtà apparente. Infatti sarà l'innocenza e la semplicità degli abitanti del villaggio a permettere il perpetuarsi dell'inganno. Essi così potranno vivere emozioni sincere, ma non aspireranno alla scoperta del mondo e alla conoscenza, costretti dalla paura dell'ignoto (5).

La pellicola è composta da 60 segmenti narrativi comprese le titolazioni di testa e di coda. Tali segmenti, di fatto, non sono veramente scindibili l'uno con l'altro. In questa sede si è preferita questa suddivisione poiché si è tenuto in considerazione più il contenuto narrativo delle scene che non, ad esempio, la tecnica di ripresa. Altri metodi di analisi potrebbero altresì identificare la struttura sintagmatica con un altro criterio di suddivisione.
Il film è in ogni caso composto da tre macro-segmenti narrativi: La realtà conosciuta, Sconvolgimento della realtà, Lotta per un ritorno alla realtà iniziale.
Conseguentemente tali macro-segmenti possono essere suddivisi ulteriormente in macro-nuclei narrativi: Prologo, La realtà incipiente, Primo e secondo trauma, Allontanamento, Incontro e superamento delle difficoltà, Raggiungimento dell'obiettivo, Ritorno a casa.
Così procedendo, si è arrivati alla suddivisione in 60 segmenti narrativi, di lunghezza variabile, ma strutturati in maniera precisa

Le tematiche narrative in funzione dell’analisi strutturale del film



Si analizzeranno ora le tematiche che emergono dal testo filmico e a come vengono illustrate nel profilmico.
Nel capitolo 3, dunque, esse verranno riprese in correlazione all'elemento del 'colore'.
A sostegno dell'analisi, si è utilizzata la suddivisione in sequenze esposta nel paragrafo precedente, riportata tra le schede di lavoro.



LA VISTA E IL VEDERE

In tutto il cinema di Shyamalan possiamo trovare degli elementi legati alla 'vista' e al 'vedere', sia nel suo stile di regia, - fatto di pianisequenza, inquadrature con elementi che disturbano la visione della scena,  fuori campo - , sia nelle caratteristiche dei suoi protagonisti: ne Il sesto senso (1999) il bambino protagonista (Haley Joel Osment) "vede la gente morta", esprimendo così il suo sesto senso; in Unbreakable (2000) David Dunn (Bruce Willis) ha il potere di vedere i crimini commessi dalle persone; in Signs (2002) Graham Hess (Mel Gibson) ha la capacità di tradurre i 'segni' del mondo; Lady in the water (2006), film successivo a The Village, mostra come la 'vista' degli strumenti atti a salvare una ninfa dell'acqua che deve tornare a casa, sia suddivisa tra più personaggi.
Nei film meno conosciuti precedenti a Il sesto senso, ovvero Praying with anger (1992) e Wide awake (1998), si noterà come il concetto della 'vista' sia legato molto al concetto di 'conoscenza', elemento che sarà sempre presente nei film successivi, ma in maniera meno evidente.


Lo sguardo esterno e ostruzioni visive

Titoli - Il film inizia con i titoli di testa sovrapposti e intrecciati ai rami degli alberi, i quali impediscono una visione chiara di ciò che c'è dietro di essi. La sensazione visiva creata proietta subito lo spettatore in un'atmosfera cupa che si ritroverà poi in tutto il film.
La macchina da presa (da ora, m.d.p.) compie dei movimenti ora in basso, ora in alto, come per tentare di trovare un punto da cui poter vedere meglio il cielo, che si intravede essere grigio e cupo. Già da queste prime immagini si percepisce che una delle tematiche del film è sulla limitazione del visibile, dove anche le nubi sono un ostacolo per una visione più ampia del cielo.

Funerale - La prima scena è chiarificatrice di come verrà gestito il film dal punto di vista stilistico. Varie persone vengono inquadrate di spalle e la m.d.p. sembra muoversi dietro ad esse come per cercare di vedere meglio ciò che sta accadendo. Poco distante si intravede un uomo che piange sulla bara del figlio, entro un piccolo recinto.
Saranno pochissimi i momenti in cui si riuscirà a vedere chiaramente e globalmente tutto quello che è ripreso. Non ci sono totali nel film, ma solo inquadrature singole impallate sempre da diversi elementi: un tavolo, l'angolo di una casa, i rami degli alberi, le persone, una bandiera, una rete, ecc…
Inoltre, sembra esserci costantemente un occhio esterno che cerca di osservare cosa sta succedendo all'interno del villaggio: alle volte proviene dalla foresta, alle volte si unisce agli abitanti, altre volte si ferma dinnanzi a loro. Quando questo 'sconosciuto scrutatore' riesce ad avere una chiara visione di ciò che accade si avranno delle scene importanti o dei dialoghi rivelatori, come se egli stesso imponesse la propria presenza per poter osservare al meglio e senza ostacoli ciò che sta avvenendo. Tali avvenimenti vengono enfatizzati dall'uso di piani sequenza e movimenti di macchina in steady cam o su carrello che 'inseguono' i personaggi senza mai stacchi di montaggio.  (si vedano scene Confessione di Edward, Una creatura attacca Ivy).
Elemento interessante di questo sguardo extradiegetico è che sembra dare veridicità a tutto ciò che avviene, come se senza di esso la realtà immanente del film non esistesse. Vediamo come l'utilizzo del fuori campo venga a sostegno di questa ipotesi.


Il fuori campo, il 'non-vedere', la cecità

Ritornando alla scena del funerale si scopre un altro dei motori fondamentali del film, ovvero il fuori campo. Questo elemento viene introdotto nella sequenza S2, a cavallo tra le due scene che la compongono. Notiamo nella scena funerale un'anticipazione acusmatica di una voce che si scoprirà, nella scena successiva, essere di Edward.
August (Brendan Gleeson) sta piangendo sulla bara del figlio morto e gli sentiamo pronunciare le parole «chi mi darà la mano per sostenermi?». La scena cambia e ci troviamo al Pranzo del funerale in cui la m.d.p. inquadra August seduto accanto a un uomo in piedi di cui non si vede il volto. L'anticipazione acusmatica ha permesso lo stacco sullo stesso soggetto, August, senza ripercussione logico-narrative e allo stesso tempo ci ha aiutato a comprendere che il voice-over è di quel personaggio che non è attualmente inquadrato dalla m.d.p.. La voce continua in fuori campo e la camera riprende sempre August il quale, alle parole di Edward «queste occasioni così tristi ci portano a pensare sul perché siamo venuti ad abitare qui», stringerà la mano all'amico per sostenerlo, ma soprattutto per trattenerlo dal rivelare qualcosa di inappropriato. C'è da notare lo strano parallelismo tra le parole di August rivolte al figlio e il gesto dello stesso August di stringere la mano a Edward per aiutarlo. Subito dopo tale gesto, infatti, Edward dirà «rendiamo grazie per il tempo che ci è stato concesso» riottenendo così il controllo sulla situazione dando finalmente la possibilità alla m.d.p. di inquadrare il suo volto.
Questo trauma, infatti, pone le prime domande e i primi dubbi a coloro che hanno voluto creare tutta l'illusione del villaggio. Questo disagio dovuto all'incipiente sgretolamento di quell' utopia che mirava a fuggire dal dolore, inizia a coinvolgere anche gli altri abitanti, ignari di tutto l'inganno. Ma a ristabilire l'ordine ci penseranno i suoni e i rumori emessi dalla 'creature mostruose' che risiedono nella foresta, che si fanno sentire ma non si fanno vedere, un altro stratagemma per esaltare nuovamente l'uso stilistico e il valore del fuori campo.
Abbiamo visto, quindi, una serie di azioni che ne avviano altre. Tali azioni cominciano tutte in fuori campo. La voce, le persone, i rumori delle creature, non fanno altro che dare inizio a un'altra serie di azioni. Lo stesso funerale, di cui non si è visto praticamente niente se non il pianto del padre affranto, ha dato modo ai dubbi di Edward di venire in superficie. Lo spavento degli abitanti del villaggio è dato dai versi dei mostri, ma non dai mostri stessi. 
Quindi se si analizza meglio la struttura del film si potrà notare come il motore di ciascuna azione avvenga sempre 'fuori campo' e che non esiste una scena funzionale a se stessa (ci sono solamente 3 sequenze di pochi secondi che servono a far capire l'autosufficienza del villaggio, ma anch'esse non hanno una loro funzionalità se non al rimando che la vita va avanti anche dopo un lutto).
Il regista fa un uso molto sapiente del fuori campo, quasi strategico. Potrà essere sufficiente fare una piccola analisi di una particolare scena per capire che viene usato anche come elemento della trama del film: Lucius oltrepassa il confine - Si ha una leggera panoramica che inquadra Lucius mentre si dirige su un punto fuori campo. La panoramica continua spostandosi sulla sinistra a scoprire l'obiettivo su cui si sta dirigendo. E' un arbusto di bacche rosse. Raggiuntolo, l'uomo viene distratto da un rumore proveniente ancora dalla sinistra dell'inquadratura e di nuovo, a continuare, viene ripresa una piccola porzione di bosco nella quale si intravede una creatura che fugge nel momento in cui la m.d.p. cerca di inquadrarla. Non ci è dato sapere se questa sia una delle 'creature mostruose' che abitano il bosco, perché se ne vede solamente una piccola porzione per un istante. Ma si vede chiaramente che non c'è una delle connotazioni principali che le distinguono: il colore rosso.
Ciò ci porta a considerare il fatto impossibile per Lucius di non aver visto una qualsiasi creatura che si sarebbe dovuta trovare esattamente di fronte a lui. Utilizzando sapientemente il fuori campo, dunque, il regista induce lo spettatore a credere che la strana creatura fosse una delle creature innominabili per via della presenza del 'colore del male' nell'inquadratura precedente. Fa credere inoltre che Lucius si sia accorto della strana presenza solo una volta raggiunto l'arbusto e dopo aver sentito alcuni strani versi. Questo comporta l'attivarsi di alcune dinamiche inconsce del protagonista che lo porteranno a credere di aver visto "quelli che non devono essere nominati", ovvero le creature, e a comportarsi di conseguenza. Ma, come detto, ciò è impossibile per via della posizione spaziale degli enti coinvolti, quindi lo spettatore viene ingannato per ben due volte.
Il 'non-vedere' è dunque parte degli abitanti del villaggio, che in qualche modo sembrano 'percepire' solamente il profilmico e non gli eventi nel loro insieme reale.
Oltre a questo caso, ci sono anche altri esempi di questo tipo, come ad esempio un momento della scena dell'attacco delle creature (Lucius intravede una creatura), oppure un momento durante il turno di un giovane su una delle torri di guardia (Allarme dalla Torre). 

La 'vista'  e il 'vedere' nei personaggi principali

Il personaggio che sembra non subire l'effetto del 'non-vedere' è Ivy. La sua cecità, paradossalmente, la protegge dal profilmico. Per lei tutto esiste perché effettivamente non ha un filtro con cui guardare le cose. Gli altri abitanti sembrano vedere con il filtro dell'inquadratura, mentre Ivy percepisce tutta la realtà.
«Io vedo il mondo. Solo che lo vedo diverso da come lo vedi tu» dirà a Lucius, frase che fa comprendere come lei percepisca molto di più di quanto non sia dato agli altri percepire della realtà.
L'intero tema del 'vedere' gira intorno ad Ivy, non solo dal punto di vista filmico, ma anche dal punto di vista narrativo.
Ad esempio dopo l'accoltellamento di Lucius che sconvolge tutti gli abitanti, Edward dice alla figlia «tu vedi la luce quando c'è solo tenebra», individuando nella sua forza d'animo, nelle sue intenzioni e nei suoi sentimenti, la soluzione al problema che corrode e addolora l'intero villaggio.
Quando Ivy, convinta dal padre, attraversa la foresta alla ricerca di una medicina che salverà la vita del suo amato, accadono due cose molto interessanti.

Sola di notte nella foresta -  Durante la notte cerca di tapparsi le orecchie per non sentire più i suoni e i rumori provenire dall'esterno (cfr. 'Frame 6' in appendice). Lei vive di solo udito e per il suo modo di percepire il mondo, come abbiamo detto, tutto esiste attraverso i suoni. E' affaticata quindi da tutti i suoni acusmatici che gli altri possono 'filtrare' normalmente, ma che per lei sono la trasposizione visiva della realtà. Per Ivy tutti i suoni sono importanti e a lungo andare tutto può risultare assordante, ma non la realtà visiva.
Il regista sottolinea tutto ciò facendo svolgere la scena di notte. Ma non avrebbe senso dal momento che per Ivy tutto è sempre buio. Avrebbe potuto ambientare la scena in un altro momento, ma invece ha scelto il nero e il buio della notte. La scelta acquista senso solo se si sposta il punto di osservazione dalla parte dello spettatore. Il buio è l'elemento antico della paura, delle incertezze e del disorientamento. 
E' lo spettatore che assieme ad Ivy si sente sperduto,  non solo per quello che sente ma anche per quello che vede.

Una creatura attacca Ivy nel bosco - La seconda scena, anch'essa meritevole di attenzione, si riferisce a quella dell'attacco della bestia. Grazie alla sua cecità, Ivy riesce a vincere la creatura che la attacca. Con il suo corpo cela alla vista dell'aggressore un profondo fossato, da lei prima scoperto. La creatura corre verso di lei per attaccarla e Ivy, spostandosi all'ultimo istante, la fa cadere nel fossato.
Così Ivy si salva dalla  bestia. Abituata a dedurre le situazioni solo attraverso i suoni senza essere ingannata dalle apparenze, ha di fatto trasformato il senso della vista del suo aggressore in uno svantaggio per lui. Quando ha percepito l'arrivo della bestia, Ivy ha sfruttato l'abitudine dei vedenti di affidarsi solo alla vista e ha nascosto il pericolo con il proprio corpo per attirare l'attenzione, contando sul fatto che chi vede è preso dall'immediatezza delle cose così come si presentano agli occhi e non come sono in realtà.
Altri personaggi daranno alla cecità di Ivy vari significati, dimostrando però come essi stessi deleghino al solo senso della vista tutta la realtà percepita.
Nella foresta Finton Coin (Michael Pitt), incaricato di fare da scorta ad Ivy (Coin va via), nel cercare una scusa per nascondere la propria codardia, sostiene che le creature la lasceranno vivere in quanto cieca e innocente, mentre uccideranno lui che invece può vederle.
Un'anziana del villaggio rimprovera Edward di aver lasciato andare la figlia nella foresta perché è cieca e quindi indifesa (Dubbi degli anziani);
Al contrario Noah le dice chiaramente di non approfittare della sua cecità per vincere una corsa (Corsa alla roccia), identificandosi così per quello che è, ovvero una persona libera che oltrepassa i confini dell'apparenza quando e come vuole, e che non è mosso da nessun tipo di pensiero indotto. E' la pura libertà.
Un altro personaggio per il quale il 'vedere' è molto importante è Lucius. Egli infatti cerca di svelare i segreti del villaggio e di portarli alla luce. Cerca di affrontare le sue paure personali e superstizioni con lo scoprire cosa c'è veramente nel bosco. Infatti, si rende conto di essere sottoposto ad una visione parziale del mondo e cerca di uscire da quell'unica realtà visibile che in effetti non lo convince. Come per altri personaggi, c'è da fare una piccola riflessione sul suo nome: Lucius. Il riferimento del nome latino alla luce è chiaro. Potrebbe venire dal sostantivo lux, lucis oppure dal verbo lucere, "albeggiare", o in senso figurato "nato con la luce" o "portatore di luce". Una scelta da parte del regista di voler affidare un nome di senso simbolico in base alla sua voglia di svelare i segreti e gli inganni del villaggio e portarvi quindi luce.


Le soggettive

Per capire le dinamiche della realtà e della conoscenza, molto importanti nel film sono le soggettive.
Sono solamente quattro e una di esse è una soggettiva impossibile.
Noah gioca con altri ragazzi - La prima riguarda Noah: mentre si sta picchiando per scherzo con alcuni giovani del villaggio viene redarguito da Ivy. Noah è uno spirito libero in tutto ciò che fa, nel bene e nel male e il regista vuole dimostrarlo affidando a lui la responsabilità della soggettiva, come a voler suggerire che solamente tramite i suoi occhi si può vedere la vera realtà dei fatti. Lui è l'unico che ride e si diverte quando si sentono i rumori del bosco che terrorizzano tutti o quando le creature attaccano il villaggio. Noah ride perché sa che è tutta una messa in scena, e ridendo senza nulla svelare, fa si che quello che per lui è un gioco continui (6). Potrebbe infatti svelare la realtà dei fatti, ma non lo fa perché questo lo rende libero di agire come vuole e di approfittare della situazione. Inoltre è tramite questa soggettiva che il regista ha l'occasione di presentare il primo incontro (per lo spettatore) tra Ivy e Noah, forse per indurlo a pensare che il ragazzo vede la ragazza veramente per quello che è, senza pregiudizi. Egli è in grado di guardarla negli occhi con tutto il proprio amore.

La roccia della tranquillità - La seconda è una soggettiva impossibile in quanto affidata ad Ivy. Nonostante sia cieca, sente il bisogno di coprire con le mani le bacche di colore rosso. La sua cecità impedirebbe, narrativamente parlando, questa inquadratura, ma permette al regista di presentare quella parte di Ivy legata alla superstizione, che poi sarà svelata in maniera più evidente in alcune scene successive, e alle sue dinamiche inconsce che ci fanno supporre come la 'realtà del visibile' degli altri l'abbia condizionata.

L'accoltellamento - La terza e la quarta soggettiva sono affidate rispettivamente a Noah e a Lucius nella scena dell'accoltellamento, ma si rimanda la spiegazione di queste due inquadrature nell'analisi della scena a pagina 44.


La vista come conoscenza

Per meglio approfondire questo punto, sarà utile permettere una argomentazione dal punto di vista dello spettatore.
Per quanto  è dato sapere quello che si vede è la realtà: c'è una lapide che ci informa dell'anno in cui è ambientato il film, il 1897; si capisce che è un villaggio autosufficiente in quanto è fornito di acqua corrente, coltivazioni di ortaggi e pecore per la carne e la lana; a prima vista sembra un quadretto di vita normale, con persone semplici e trasparenti.
Però non è una situazione che viene approfondita, quindi quello che si sa di questa realtà è molto poco: si capisce che ci sono degli anziani che governano, che ci sono delle tradizioni e che ognuno ha un proprio lavoro, anche se a proposito di ciò non si sa nulla di specifico.
Ma ci sono dei segreti che emergono pian piano e che  iniziano ad  incrinare quello che si sa della realtà: dei rumori provenienti dal bosco; il 'colore del male' (come lo chiameranno gli stessi abitanti del villaggio); delle strane cassette il cui contenuto non  è dato saperlo; degli amori non espressi.
Successivamente, si scopre che tutto quello che si vede non è reale: che non è il 1897; che il villaggio, le creature innominabili e tutte le storie degli anziani, sono in realtà frutto di una grande e articolata messa in scena.
Quindi il 'vedere' qualcosa non dimostra che esso esista veramente: il fatto che il regista voglia far intendere che si è nel 1897, non vuol dire che sia veramente quell'anno; il fatto che si vedano delle creature con il manto rosso, non vuol dire che queste esistano (7).
L'acquisizione dei  fatti e degli avvenimenti, così come vengono posti allo spettatore, non dà quindi la conoscenza: qui Shyamalan aiuterà a chiudere il discorso utilizzando, come in tutti suoi film, il cosiddetto twist ending ovvero un finale sconvolto e sconvolgente che spiega tutto o una parte del tutto.
Il twist ending capovolge tutto quello che i protagonisti del film e gli spettatori stessi hanno da sempre pensato di conoscere. La conoscenza dei fatti reali è ben più di quello che semplicemente 'si vede'.
Shyamalan esprime questo concetto anche nei film precedenti:
ne Il sesto senso, pur mostrando tutti gli elementi utili per capire la vera condizione del protagonista (morto di morte violenta), è solamente alla fine che lo spettatore comprende improvvisamente la sconvolgente verità sulla sua natura;
in Unbreakable fa crescere lo spettatore insieme al protagonista fino a far capire cos'è la vista-conoscenza, ovvero quel  potere che gli permetterà di scoprire il proprio ruolo nel mondo;
in Signs mette alla prova la fede del protagonista e anche quella dello spettatore. Fornisce tutti gli elementi come ne Il senso senso, ma di un quadro generale più grande che non si potrà vedere fino a quando, tramite l'accettazione delle responsabilità del protagonista, i segni di questo grande quadro non saranno visibili;
The Village, lavoro che gode del frutto delle esperienze passate, è stato un po' come un esame finale. È come se avesse teso una trappola allo spettatore per metterlo alla prova, per vedere se si sarebbe compresa veramente l'importanza del messaggio che gli viene posto: non fidarsi solo di ciò che si vede, in nessuna situazione;
con Lady in the water Shyamalan ha unito tutti i suoi 'punti di vista' come se fossero 'insegnamenti': tutti gli elementi per capire i fatti sono visibili; ogni uomo ha un ruolo nel mondo e nulla accade per caso; ciascuno di questi uomini deve prendersi le proprie responsabilità per un bene più grande e avere fede in esso; e per ultimo, che quello che  appare non sempre è la verità.

Le dimensioni della realtà



Come per il 'vedere', si sono analizzati gli spazi del racconto e i confini/limiti che essi circoscrivono. Si è visto come abbiano importanza nell'evoluzione della storia, dei personaggi e, non ultimo, del colore.

Gli spazi - Le strutture e i luoghi

Se dovessimo fare una mappa topografica degli ambienti in cui si sviluppa il film, potremmo definire una serie di cerchi più o meno concentrici che si vanno ad allargare sempre di più. Più si va verso l'esterno, più aumenta il grado di consapevolezza e conoscenza di chi vi si addentra. Spieghiamone i motivi analizzando in primis le strutture:
- abbiamo un primo cerchio legato alle abitazioni e alle case. Sono luoghi privati dove il colore giallo è dominante, come a voler dimostrare la sicurezza del focolare domestico (in più di una volta viene ripreso il fuoco). Sono luoghi dove vengono nascosti i segreti (le cassette metalliche) e dove ci si nasconde dalla creature (i nascondigli sotto le case). Quindi, in un idea di viaggio verso la conoscenza del mondo sconosciuto e della realtà, le case sono il posto meno vicino all'obiettivo e sono le più popolate;
- ci sono poi le zone comuni, che cominciano dai porticati appena fuori le case e vanno alla sala delle assemblee, ai campi coltivati, al pascolo, alla sala da ballo e a tutti quegli ambienti frequentati da tutti gli abitanti del villaggio. Sono quelle zone dove si perpetua il falso, dove la vita va avanti e dove gli abitanti del villaggio si intrattengono in incontri sociali che distraggono dalla vera realtà;
- si passa poi alle torri, costruzioni che servono a osservare il bosco e a dare l'allarme se vi è presenza di qualche intruso. Sono costruzioni adibite alla protezione di questa realtà/falsità e servono solo a ricordare che esiste un pericolo;
- il confine, delimitato sia dalle torri di controllo che da bandiere gialle per tutto il suo perimetro. E' il primo vero ostacolo da superare per intraprendere il cammino verso la conoscenza attraverso la foresta. Bisogna avere il coraggio di oltrepassarlo, andando contro le proprie paure e contro le norme sociali di coloro che lo hanno creato;
- la foresta, luogo dove risiedono le creature innominabili e l'origine del male. Attraversarla è il secondo ostacolo per la ricerca della verità. E' piena di insidie, di misteri e luogo di residenza delle creature. Non a caso c'è la foresta: «infatti strettissimo è il legame fra la foresta della fiaba e quella che figura nella cerimonia dell'iniziazione. Il rito dell'iniziazione avviene sempre proprio nella foresta. E' questa la caratteristica costante e immutabile del rito in tutto il mondo» (8). Possiamo facilmente constatare come Ivy attraverserà la foresta per andare oltre la propria realtà particolare, oltre le proprie conoscenze e oltre le proprie paure, mossa dall'amore per Lucius il quale ha cercato di intraprendere il cammino prima di lei;
- il sentiero nascosto nella foresta. Questo sentiero potrà essere trovato solamente una volta affrontate le proprie paure nella foresta. Anche qui le radici storiche dei racconti di magia ci aiutano a capire come nella fiaba il bosco circonda l'altro reame e che la strada che porta all'altro mondo passa attraverso di esso (9);
- il muro di cinta oltre il quale c'è il mondo sconosciuto. Solamente chi attraverserà la foresta potrà raggiungere la verità oltre il muro. Nel nostro caso ci viene da pensare come solamente Ivy possa superare quel muro. Infatti questo è ricoperto completamente di edera ed è grazie ai suoi grovigli che Ivy riusce a oltrepassarlo. In inglese la parola "ivy" vuol dire "edera"(10) e questa strana coincidenza sul nome potrebbe far azzardare l'ipotesi che, appunto, solamente dopo aver 'oltrepassato se stessa', lei possa conoscere veramente la verità ed essere libera.
Altro elemento che ci suggerisce il perpetuare della menzogna e quindi la privazione della consapevolezza, è la coincidenza stilistica con cui vengono inquadrate le scene A scuola e le scene che riguardano le assemblee cittadine (Sala Assemblee: è un coyote, Sala Assemblee: chi ha oltrepassato il confine, Sala Assemblee: interrogatori). Nella scuola abbiamo un insegnante e dei bambini che rispondono alle domande e che apprendono informazioni sulle creature innominabili; nella sala delle assemblee, allo stesso modo vediamo il fronte degli anziani e il fronte degli abitanti ai quali vengono date informazioni, ad esempio, su come proteggersi da un inesistente coyote e di non preoccuparsi. I due ambienti sono simili, ma non uguali: ai bambini nella scuola, inquadrati di fronte, vengono date delle informazioni, e questi partecipano all'apprendimento di queste ultime. Nella sala delle assemblee gli abitanti sono inquadrati di spalle e accettano tutto quello che viene detto loro. Tutto ciò ci rimanda molto al concetto del 'potere' di un educatore e del 'potere' di un capo/capi di un villaggio. Il potere decisionale viene demandato senza remore dai bambini, perché non hanno mezzi, consapevolezza e conoscenze sufficienti per combatterlo, e dagli abitanti
del villaggio che hanno preferito delegare le responsabilità in favore di una tranquillità emotiva. Sono infatti gli anziani che conoscono il segreto del villaggio e che per parlare dell'organizzazione della vita cittadina si mettono in cerchio (Sala Assemblee: consiglio anziani, Lucius vuole partire), decretando così una differenza tra loro e il resto del villaggio.

I limiti e i confini

Come preannunciato dai titoli di testa, questo è un film di limiti visivi, spirituali, intellettivi, sociali. Il titolo stesso del film pare ricondurre a una sorta di ambiente limitato, autosufficiente, chiuso come in una cornice di un quadro, che nel caso specifico è l'inquadratura. Per questo si cerca sempre di andare oltre i suoi confini riempiendo il film di fuori campo visivi e sonori. Ogni elemento cerca di fuori uscire dalla costrizione dell'immagine filmica. «C'è un'ossessione compulsiva nei confronti dell'esterno (perché misterioso, sconosciuto), ma anche una attaccamento spasmodico e morboso all'interno, che diventa culla della Bugia per eccellenza» (11). I rami cercano di estendersi (Titoli), i segreti degli anziani sembrano voler uscire allo scoperto ad ogni sussulto di paura, (Pranzo del Funerale, Non è un coyote,  Lucius oltrepassa il confine, Racconto sul padre di Lucius),  Lucius cerca di oltrepassare i limiti di ciò che conosce (Sala Assemblee: consiglio anziani, Lucius vuole partire, Sala Assemblee: consiglio anziani, Lucius vuole ancora partire, Lucius oltrepassa il confine,  Attacco al villaggio) e via dicendo. Ogni cosa è la ricerca del superamento dei limiti prima fisici e poi mentali. La restrizione mentale è attuata, come già detto, per mezzo dell'insegnamento di Edward, il quale ha appunto il compito di gestire e manipolare le menti di chi ancora deve formarsi. «Il limite mentale è costruito tramite la paura». (12) Tramite questa paura si impedisce la formazione di spirito di iniziativa, di scoperta, di curiosità e non servono i giochi dei ragazzi per dimostrare il loro coraggio per rompere la paura. E' un gesto che conferma ancora di più la presenza costante della paura dell'ignoto. Gli anziani mentono in continuazione per mantenere lo status quo. Nella sala delle assemblee non viene discussa alcuna verità, solamente perpetuata la menzogna in quelle persone che ormai sono state manipolate e hanno accettato di delegare la responsabilità delle proprie scelte ad altri. Mentre è curioso il fatto che gli stessi anziani si incontrino per parlare del passato e dei problemi legati a tutta la farsa da loro architettata, sempre dietro a una casa, o vicino a un muro, o accanto a un recinto o uno steccato (Non è un coyote, Se non avessimo limitazioni?, Abbiamo fatto un giuramento, Dubbi degli anziani). Essi sono sempre vicino a un limite spaziale che delimita qualcosa, forse a significare che il potere e i segreti sono continuamente al limite estremo della loro gestibilità, o all'ombra di ciò che hanno costruito.
Come già detto, anche la cecità fisica di Ivy e la cecità mentale degli abitanti, è un grosso limite, con la sola eccezione che per Ivy significherà la salvezza dalla realtà illusoria e il raggiungimento della conoscenza.
Molto interessante è invece il confine delimitato dalle porte. Ogni volta che la m.d.p. si trova all'interno di una struttura, non si vedono mai entrare le persone (Sala Assemblee: consiglio anziani - Lucius vuole partire, Kitty si dichiara, August parla con Lucius, Noah e Ivy: la stanza del silenzio, E' tutta una messa in scena). C'è sempre un escamotage di montaggio o registico che non fa vedere il superamento della soglia da parte degli attori. Questa scelta stilistica dà forza a due scene:
- Ivy e Lucius: si stringono la mano -  Ivy tende la mano attraverso la porta per cercare di afferrare Lucius disperso nel villaggio durante un attacco delle creature (13). Sarà questa la scena in cui Lucius prende per mano per la prima volta Ivy facendole capire il proprio amore (in quanto Ivy sostiene che «a volte non facciamo certe cose, ma gli altri sanno che vogliamo farle e così non le facciamo» e Lucius non la prende per mano perché è innamorato di lei) e la ragazza, con questo gesto, gli permette di entrare in casa sua facendolo vedere dalla m.d.p., dimostrando così la chiarezza di intenti. Ancora una volta si noti come la realtà delle azioni venga affidata allo sguardo della m.d.p., limitando la percezione della realtà alla sola inquadratura;
- la seconda è la scena dell'accoltellamento di Lucius (si veda il paragrafo relativo a pagina 44).

Gli sguardi in macchina

Sono presenti nel film molti sguardi in macchina, ciò ci fa pensare che non siano solo dei banali errori di ripresa, ma che siano scelte precise di sceneggiatura. Il che ci porta a considerarli come elementi essenziali per analizzare il punto di vista espresso dal regista.
Se ripensiamo al concetto di fuori campo, di come esso abbia influenzato le azioni-reazioni, e allo sguardo esterno, sempre presente nell'andamento stilistico delle inquadrature, non ci può sfuggire il brevissimo sguardo in macchina di Noah a pochi secondi dall'inizio (Pranzo del funerale), quando dalla foresta si sentono dei rumori innaturali e bestiali. C'è un duplice significato. Noah si gira sia verso il capo del villaggio che è il detentore della verità, come a condividere il segreto della conoscenza, ma si rivolge soprattutto verso la macchina da presa, come se avesse trovato tra i tanti, il fuori campo più importante, l'elemento generatore della pseudo-realtà. Sembra come se volesse far sapere che sa dell'esistenza degli spettatori e di come anche loro parteciperanno inconsapevoli alla messa in scena. Anche lui, nella sua ingenuità e libertà, è conscio di avere dei limiti, ma li forzerà sia oltrepassando il confine, sia con gli sguardi in macchina, sia accoltellando Lucius, limite estremo che dimostra il punto oltre il quale non doveva andare. Infatti è stato 'marchiato' dal colore del male che lo ha reso veramente una delle creature che lo divertivano. Il concetto di limite per Noah è molto più evidente che per gli altri. Ritroviamo in lui la figura del 'pazzo del villaggio', che antropologicamente parlando, è quella persona che tramite il proprio essere iper-dimostrativo (14) delimita le azioni degli altri abitanti (15). E' sorprendente la precisione stilistica di mostrare questo particolare in maniera sfocata, in favore della vista a fuoco del bosco. Lo spettatore dà così importanza a quello che il regista gli suggerisce, facendo distogliere lo sguardo come fa un illusionista durante un'esibizione per non far scoprire la verità.
A Edward Walker sono affidati due sguardi in macchina, (Racconto bambini, E' tutta una messa in scena) ma uno solo è di estrema importanza per la comprensione di tutto il film.
E' tutta una mesa in scena - Nella baracca in cui gli anziani tengono i costumi delle creature, durante la scena in cui viene svelato a Ivy il segreto del villaggio, Edward guarda in macchina e dice «è tutta una messa in scena», poi c'è il contro campo e si scopre che il suo interlocutore è un costume gigante rosso con una maschera vuota. Di conseguenza non può essere una soggettiva della creatura, né un elemento lasciato al caso. Infatti anche Ivy guarda in macchina nello stesso momento, sebbene per lei non possa sussistere lo stesso significato, confermandone così il volere drammaturgico. (cfr. 'Frame 2' in appendice). Con questa chiave di lettura si può guardare tutto il film e ci si accorgerà che ogni cosa è una farsa (in inglese Edward dice «farce»).
Questa è una chiara dimostrazione dell'abbattimento di quella regola che nel cinema, impedisce agli attori di guardare verso l'obiettivo. E' la distruzione di quella immaginaria 'quarta parete' che una volta distrutta, mette in comunicazione diretta la 'messa in scena' con lo spettatore (16). Questo è inusuale in quanto sconvolge la passività propria dello spettatore richiamandolo all'attenzione della pellicola e del messaggio riportato in essa.
Questo capovolgimento sensoriale che si attiva di fronte a un atto così violento di cessazione «di regressione e passività» propria dello spettatore (17), risulterà possibile se pensiamo al concetto di «referente immaginario» (18). Metz sostiene che esso sia una «evidenza». Il dispositivo cinematografico induce nello spettatore un «illusione referenziale» per cui quello che vede sullo schermo è percepito come un «blocco di realtà (immaginaria) dal quale lo spettatore suppone che la storia sia stata prelevata. [...] Ogni racconto postula che, da qualche parte, le cose raccontate abbiano avuto un'esistenza reale». (19)
Quindi il regista, chiaramente, ha voluto abbattere il limite dell'inquadratura, per far entrare lo spettatore in una sorta di crisi visuale legata all'illusione filmica. In poche parole, anche se William Hurt non avesse pronunciato quelle parole, il senso di rottura della realtà rappresentata sarebbe rimasto lo stesso, anche se sarebbe stato meno evidente.
Anche Ivy tenta di guardare in macchina (Noah e Ivy: Ivy è cieca, Il fardello di Ivy, Ivy da Lucius: parto, E' tutta una messa in scena) perché lei «vede la luce dove c'è solo tenebra». Anche lei percepisce la falsità di ciò che la circonda, ma non riesce ad andare oltre con lo sguardo, sempre a causa della sua cecità. Lo fa molte volte, ogni volta dettata da una causa diversa, ma sempre senza successo. Al contrario è l'unica che riesce a oltrepassare tutti i confini fisici e mentali che le si pongono innanzi, fino ad arrivare nel mondo reale, che le si presenta con il rumore in fuori campo di una sirena.
Probabilmente, per Shyamalan, solo chi non si ferma davanti ai limiti della vista (e del superficiale), per quanto possano essere spaventosi, può raggiungere la verità e la conoscenza. Non a caso la propria casa di produzione si chiama "Blinding edge pictures" e reca l'immagine di un uomo che si lancia nel vuoto senza guardare. (cfr. 'Frame 1' in appendice). Come se lanciandosi oltre un limite apparentemente invalicabile si possa, in qualche modo, superarlo. La traduzione letterale sarebbe "immagini dal limite accecante", per cui il riferimento alle immagini, nel caso, cinematografiche e alla vista in generale è per lo meno degno di considerazione nell'analisi delle sue tematiche.


Dolore e Innocenza

Il dolore è il vero motivo per cui gli anziani decidono di creare il villaggio e isolarlo all'interno di un bosco. Questo isolamento nasce dalla necessità di fuggire dal concetto di dolore stesso, in qualsiasi forma esso si presenti. Tuttavia il regista ci informa sin dall'inizio che la sofferenza fa parte della vita di queste persone (Funerale). Il trauma che sconvolge l'intero villaggio fa vacillare la fede degli anziani che tramite le parole di Edward si chiedono se «fu la scelta giusta» trasferirsi in quel posto. Se il loro fine ultimo era quello di proteggersi dalla malvagità del mondo e non sentire più la sofferenza, allora sembrerebbe essere stato un progetto fallito. Come dice August «ci si può sottrarre dal dolore come abbiamo fatto noi, ma lui ti trova, sente l'odore» (Dubbi degli anziani) e fa proprio un riferimento esplicito all'olfatto e che il dolore è come un cane, ti scova ovunque tu riesca a nasconderti, magari con più difficoltà, ma alla fine ti raggiunge (Lucius da August). Questo affidare la responsabilità del dolore a un ente esterno, è un discorso legato alla fede religiosa. La morte naturale non è un evento per cui si può incolpare qualcuno, tant'è vero che la comunità del villaggio è sì una comunità religiosa, ma a parte i brevi secondi in cui viene inquadrata la statua raffigurante una figura angelica durante il funerale, non esistono all'interno del film altri elementi che riportano a una realtà spirituale e di fede. Forse perché solamente nella morte naturale ci si può o deve affidare a una entità esterna a noi, perché altrimenti si perderebbe la speranza nella vita, che apparirebbe solo come un lungo susseguirsi di dolori e traumi (20).
Funerale - Analizziamo in breve la scena del funerale. Il sole sta calando ed è importante qui notare come le inquadrature siano studiate per aiutare a capire che è il tramonto, per via delle ombre allungate degli oggetti e delle persone. Quasi simbolicamente si può pensare che il regista, con l'arrivo imminente del buio, voglia trasmettere il senso di cupezza che sta per colpire gli abitanti del villaggio a seguito del lutto. Ancor di più se si pensa che in tutto il film si vede solamente un cielo grigio e nuvoloso e solamente in un altro momento si vede il sole (Noah e Ivy: corsa alla roccia). Difatti il villaggio vive un momento di lutto, ma lentamente si riprende e continua la normale vita di sempre. Vengono mostrate scene di vita quotidiana: problemi sentimentali, giochi tra ragazzi, il disagio legato all'attacco al bestiame da parte di un coyote, l'organizzazione di una tradizionale festa paesana. Tutte situazioni che apparentemente potrebbero risultare 'di vita quotidiana' all'interno di un villaggio di fine Ottocento, tant'è vero che il sole ritornerà e verrà mostrato durante una felice gara di corsa da parte dei due giovani. Apparentemente niente di strano. Dopo la pioggia torna il sereno. Dopo un lutto la vita continua in tutte le sue accezioni. Il problema che si riscontra nell'analisi del profilmico è legato alle modalità con cui il regista mostra il ritorno del sole dopo il grigiore. E' un vero punto interrogativo. Nella sequenza in cui Ivy redarguisce Noah (Noah e Ivy: Ivy rimprovera Noah) si noterà un cielo grigio e nuvoloso, mentre pochissimi istanti dopo, nel proseguimento della stessa sequenza narrativa (Noah e Ivy: corsa alla roccia), ci sarà uno stacco in cui si vede un cielo azzurro e un villaggio assolato. Potrebbe darsi, e non se ne hanno le prove, che Shyamalan volesse esplicitare sotto forma di contrasto e di apparente errore narrativo, la capacità dell'uomo di riprendersi anche dopo i più terribili traumi, in netta opposizione all'incapacità di superare il dolore da parte di coloro che cercano di rifuggirlo a priori. Sarà infatti l'innocenza di queste persone che farà andare avanti il villaggio.
Il regista afferma che ha voluto ambientare il film alla fine del 1800 perché «l'innocenza esisteva ancora e i sentimenti si esprimevano sinceramente» (21). L'800 infatti lo aiuta a sottolineare tutti i contrasti delle tematiche che vuole esprimere.
In un mondo che dovrebbe essere innocente, invece, troviamo amori non espressi, disagi sociali, segreti terribili. Escludendo i principali, tutti gli altri personaggi sono effettivamente innocenti e semplici. Si divertono, giocano, danzano. Sarà proprio questa loro semplicità che alimenterà la speranza in Lucius e Ivy che li spingerà a voler cambiare le cose. Gli anziani rimangono invece immobili, chiusi nella paura che loro stessi hanno creato (22). Sono preoccupati che i segreti possano essere svelati e che tutto possa finire. August dice «se finisce, finisce» (Dubbi degli anziani) facendo così capire come la vera dimensione del dolore sia affidata a chi il dolore non lo rifugge, ma, suo malgrado, lo vive.


I suoni e la musica

Una piccola annotazione anche per i suoni e la musica.
Come esposto, i suoni sono parte fondante della sceneggiatura e accompagnano lo svolgersi delle azioni. Si è analizzato quanto siano importanti per il personaggio di Ivy e come agiscono sulla sua percezione del reale.
La cosa importante da aggiungere riguarda l'abilità con cui suoni e musica vengono gestiti.
La colonna sonora è abilmente intrecciata con la narrazione, sfuma e cresce nei momenti in cui il suono necessita di spazio per operare nel contesto filmico e si fa da parte nelle scene in cui lo spettatore deve essere sospeso in uno stato di ansia per quello che sta accadendo.
Interessante è notare come Lucius e Ivy: Lucius si dichiara e L'accoltellamento, siano entrambe prive di musica, ma l'una sia scandita dai dialoghi incessanti dei due innamorati e l'altra dagli sguardi silenziosi di sgomento dei due ragazzi e dalle pugnalate di Noah sul corpo di Lucius. Allo stesso tempo è presento un parallelismo stilistico del movimento della m.d.p. in quanto in entrambe le situazioni l'inquadratura si sposta, nel primo caso per lasciare intimità ai due innamorati, nel secondo caso per non inquadrare gli avvenimenti (si vedrà meglio il perchè nel paragrafo successivo).
Assai particolare invece è la ripetizione di una semplice sequenza di note musicali. Nel film, Shyamalan utilizza tale melodia come un leit-motiv incessante e a volte angosciante, facendolo passare da suoni in tonalità minore a quelli in tonalità maggiore, decretando così un mutamento sonoro in accordo con il mutamento narrativo e risolutivo dei fatti raccontati.



L'ACCOLTELLAMENTO

Si è voluto dedicare un paragrafo specifico a questa scena, in quanto racchiude tutti gli elementi illustrati finora. Si analizzerà dunque, in maniera separata, l'aspetto narrativo (Cosa) e la messinscena (Come) tentando di chiarirne la struttura e le motivazioni che l'hanno indotta (Perchè).
Cosa - Noah, ossessionato dalla gelosia, entra in casa di Lucius e lo accoltella. Sta per andarsene quando ritorna sui propri passi e trafigge nuovamente il corpo accasciato per terra.
Come - Vediamo una porta chiusa e subito Lucius entrare in campo da destra. Noah è particolarmente turbato e oltrepassa la soglia della porta con una mano in tasca. Lucius ne percepisce il disagio e cerca di giustificarsi allontanandosi dalla porta in direzione opposta. La m.d.p. si avvicina a Lucius di spalle. Questi si gira e svela la soggettiva di Noah. Comincia a parlare ma si interrompe. Soggettiva di Lucius che osserva Noah. Soggettiva di Noah che osserva Lucius. Soggettiva di Lucius che vede un pugnale conficcato nel proprio addome. Altre due soggettive dei due che si guardano. L'inquadratura si allarga. Non ci saranno stacchi per il resto della sequenza. Viene ripreso Lucius che si accascia in terra con Noah innanzi a lui. A ostruire la visuale c'è una scala. Noah poggia l'arma, fa per andarsene, poi la riafferra e lo accoltella nuovamente per alcune volte. La m.d.p. comincia a spostarsi sulla destra e inquadra un elemento che sembrerebbe essere una stufa oltre la scala che ostruiva già l'inquadratura.
Perchè - Ci viene presentata la vista di una porta, elemento che, secondo le teorie riportate in precedenza, caratterizza il limite. Ci si chiarisce subito che non è una soggettiva e che la m.d.p. si identifica ancora con uno sguardo esterno. Noah supera il limite della porta ed è la prima volta che il gesto di 'entrare' e 'superare' l'arco della porta è esplicitato nel profilmico. Ciò pone l'accento sul "superare un limite" non solo in senso metaforico, ma anche fisico in quanto egli sta per accoltellare Lucius scostandosi quindi dalle norme sociali di reciproca incolumità (è infatti Noah che inizialmente picchia gli altri ragazzi con un bastone, atto che poi sfocerà in un gioco collettivo)
Ci troviamo di seguito innanzi a due soggettive. Noah ci ha già svelato in una scena precedente di avere la possibilità di potersi permettere una soggettiva, cosa che agli altri non è concesso fare. A Lucius viene affidata questa responsabilità solamente dopo che è stato accoltellato, cioè quando capisce la vera entità di Noah, ovvero quella di uomo veramente libero. Ha aperto gli occhi sulla vera essenza della libertà, quella che lui ricerca dall'inizio del film. Si è reso conto che la libertà non è obbedire, ma il non aver paura di oltrepassare i confini imposti da altri (23). La libertà però non deve necessariamente coincidere con la purezza d'animo e di intenti, ma può anche manifestarsi nelle forme più disparate, come nella malvagità e gelosia.
L'atto di accoltellare è affidato al fuori campo, altro elemento che destabilizza la realtà percettiva di Lucius e dello spettatore. Infatti questa volta il fuori campo non muove le azioni dei personaggi, ma accompagna lo stupore e lo sgomento di chi guarda. Lucius è di spalle e non può reagire a qualcosa che non vede. Mentre nella scena Lucius super il confine descritta nel paragrafo Il fuori campo, la non-vista e la cecità Lucius sembra non vedere ciò che gli è di fronte, qui effettivamente non può vedere ciò che avviene. Egli potrà comprendere la realtà dei fatti solamente osservando con i propri occhi.
Poco dopo avverrà una cosa molto interessante. La m.d.p. sta osservando la scena e nell'inquadratura si vede una grossa scala che ostruisce in parte la visuale. Noah ha ripreso ad accoltellare Lucius e la camera si muove verso la scala a ostruire tutta la visuale. Sembra voler inquadrare qualcos'altro al di là di questa. In realtà la m.d.p. si muove per la prima e unica volta verso il fuori campo dell'azione. Se prima andava sempre alla ricerca dell'origine di ciò che si generava in fuori campo, adesso non vuole osservare il crimine che si sta compiendo ostruendosi completamente la visuale.
E' anche curioso notare come la posizione dell'inquadratura iniziale della porta coincida con la soggettiva di Lucius, come per voler creare un'idea di immedesimazione con lo spettatore. Tale inquadratura viene ripresa nella scena Ivy trova Lucius nella quale si vede Ivy entrare nella stanza. L'immagine appare sfocata e diventa nitida solamente nel momento in cui la ragazza andrà a colpire con il piede il corpo disteso di Lucius, indicandone così il momento del ritrovamento e forse la consapevolezza del fatto avvenuto. Ovviamente il fuori fuoco è strumentale per l'accordo emotivo tra spettatore e personaggio.
Non c'è musica e l'assenza di questo elemento non fa che aumentare la suspance della scena. Similmente i colori sono assenti. Tutta la sequenza appare neutra, come a non voler enfatizzare il momento. Tutto sembra assolutamente realistico e non viene mostrata il simbolismo del rosso e del giallo, oppure la finzione della musica. Lo spettatore non deve essere distratto né dai colori, né da alcun suono esterno ai fatti inquadrati, perché il momento che viene descritto è narrativamente troppo importante e grave per poterlo 'disturbare' con artifici scenografici o tecnici. In questo momento si stanno concretizzando gli effetti che la libertà dell'uno e il senso di responsabilità dell'altro hanno influenzato.

I colori in The Village



Passeremo ora alla trattazione di quell'elemento che ha ispirato questa tesi di ricerca, ovvero l'uso del colore come elemento partecipante e unificante di tutti i settori dei mezzi d'espressione (1). Essendo il colore parte di quell'«ensemble» di mezzi epressivi del film (2), non si può certo scinderlo formalmente da nessuna delle parti cui fa riferimento. Di conseguenza si è preferito analizzarlo in favore delle singole tematiche analizzate nel capitolo precedente.

Il vedere e il colore

Si può dire che  Shyamalan è stato abilissimo ad influenzare con i colori le sensazioni dello spettatore e i gesti dei suoi protagonisti. Con l'utilizzo del colore ha imposto sin dall'inizio un senso di disagio sia nei personaggi che nello spettatore.
Si riportano alcuni momenti esemplificativi.

Scene di vita: il fiore rosso - Delle ragazze trovano un fiore rosso che toglieranno immediatamente alla vista nascondendolo sotto terra, facendo così subito capire che in quel fiore c'è un qualche elemento che sarebbe meglio celare (cfr. 'frame 3' in appendice)
Questo diventa chiaro allo spettatore pochi secondi dopo (Riflesso figura rossa), quando, riflesso in uno specchio d'acqua, si intravede una grossa figura rossa camminare in riva ad un ruscello. Se si prendesse da sola quest'ultima inquadratura, non si avrebbe modo di associare la figura a qualcosa che crea disagio. Potrebbe sembrare semplicemente qualcuno con un mantello rosso che cammina. Il fatto che genera preoccupazione è l'associazione con l'elemento del fiore incontrato poco prima. Le ragazze giocavano felicemente prima di vedere il fiore, ma una volta sotterrato, non sono più tornate ai loro giochi. Il rinvio alla percezione ambigua e non chiara di questa scena dettata dal rosso, fa sì che nella sequenza del riflesso nell'acqua lo spettatore non si senta a proprio agio. Viene quindi chiarito subito che la presenza del colore rosso genera una scossa emotiva in chi lo osserva, in questo caso nelle ragazze, ma anche nello spettatore.
A intervallare i due momenti, c'è una piccola sequenza che mostra una sentinella su una torretta (cfr. 'frame4' in appendice).
E' vestita completamente di giallo e osserva il bosco oltre un confine fatto di fuochi, anch'essi, ovviamente, gialli. (3)
La figura viene mostrata per intero, chiara alla vista tanto da definirne i contorni e i connotati fisionomici, così da rendere lo spettatore sicuro di ciò che osserva, in contrapposizione a ciò che è rosso, sfocato e riflesso nella sequenza successiva, che invece stimola «l'impressione della realtà e della fuggevolezza» (4), ma che non identifica la realtà stessa. (5) In più, nel riflesso dell'acqua, si nota la presenza degli alberi del bosco che pochi istanti prima si era reso protagonista di una situazione che puntava lo sguardo sulla necessità di essere delimitato da un confine e di essere sorvegliato con attenzione da sentinelle. Sin da subito, quindi, viene indotta nello spettatore una percezione di pericolo quando vede il colore  rosso, specialmente se il rosso viene dal bosco (cfr. 'frame 5' in appendice)
Il giallo, invece, per ammissione degli stessi abitanti del villaggio, è «il colore che protegge». Come si noterà andando avanti nel film, il giallo verrà indossato solo nelle situazioni in prossimità del confine, oltre il quale risiedono le creature, e allo stesso tempo però lo si troverà presente nel villaggio nella forma di fuochi, lanterne e fiori. Questo ci fa pensare come il pericolo sia circoscritto al limitare del bosco, dove si necessita di vesti apposite, ma che la paura lo renda presente in abbondanza anche all'interno del villaggio (ad esempio nella Scena del ballo o di notte nelle case delle persone). Quindi si ha una doppia rilevanza del colore giallo. La prima è legata ai mantelli, elementi del vestiario che inducono al pensiero che, se indossati, forse ce ne sarà bisogno e che quindi sono strumentali a una possibile situazione di pericolo. La seconda si riferisce al colore giallo che si può trovare naturalmente nel paese. Vediamo infatti lanterne che illuminano la città e le case o piccole macchie di fiori gialli nei prati davanti le case. Questo fa sì che gli abitanti si sentano protetti all'interno del villaggio, scartando così l'eventuale voglia di lasciarlo, e che lo spettatore identifichi il male come qualcosa che proviene da fuori i confini del villaggio stesso.
In queste prime sequenze Shyamalan dimostra la sua grande abilità di regista. (6) Utilizzando il colore come vero oggetto narrante protagonista, (7) con abile alternanza compositiva, riesce a trasmettere il disagio di una comunità e allo stesso tempo a far entrare lo spettatore all'interno di quel disagio dato dalla non conoscenza dei fatti. Riesce inoltre a ricreare, in chiave emotiva, quello smarrimento di un gruppo di persone che non sanno di essere ingannate e quella paura che questi inganni hanno tessuto. Contemporaneamente riesce a porre gli abitanti del villaggio e gli spettatori sullo stesso piano ontologico.
Al contrario riesce a destabilizzare il piano di immedesimazione tra spettatore e personaggi, ponendo come protagonista un cieco, ma allo stesso tempo riuscirà a rievocarlo tramite l'uso del fuori campo nella scena dell'aggressione nel bosco (Una creatura attacca Ivy). Benchè cieca, per Ivy i colori sono importanti. Sostiene infatti di vedere le ombre colorate delle persone che ama (il padre e Lucius), tanto che a rendere ancora più forte l'ansia e la crisi data dal ferimento di Lucius, ci sarà la frase che pronuncia a suo padre «non vedo più il suo colore». Inoltre il condizionamento visivo indotto degli abitanti del villaggio ha irrimediabilmente condizionato anche lei.
Quando avrà in mano delle bacche rosse, le coprirà come per non vederle, adducendo come motivazione il fatto che le creature innominabili sono attratte da quel colore.
Al contrario Noah, ci giocherà e ci scherzerà, dimostrando come per lui quel colore non sia un problema, tanto che ha oltrepassato il confine della foresta proibita per prenderle e che di questo non si preoccupa. Questo è un altro elemento che consolida la tesi che Noah sia veramente l'unico vero personaggio libero, il cui essere sempre al limite del comportamento socialmente permesso, è un monito per gli altri abitanti del villaggio.
Ritornando ad Ivy, una volta nella foresta, pur essendo ormai a conoscenza della verità sulla messa in scena delle creature e dell'artificiosità della situazione, le leggende raccontatele dal padre sui suoi abitanti le ritornano alla mente e fanno sì che continui a indossare il mantello del 'colore che protegge'. E ancora, quando in seguito a una caduta il mantello le si sporca completamente non facendo più vedere neanche un po' di giallo, si spaventa e cerca di togliere il fango dall'indumento come per riottenerne il potere protettivo.

Sperduta nel bosco - Analizziamo ora la sequenza precedente all'incontro con la creatura. Ivy cade nel fossato; le si sporca il mantello; rompe il bastone; si impaurisce perché sente alcuni rumori strani; inizia a scappare velocemente; i rumori aumentano sempre di più fino a che stanca, dopo essersi districata dai fitti rami della foresta, si ferma in una zona stracolma di bacche rosse (cfr. 'Frame 7' in appendice); compare il mostro. Questa, dal punto di vista visivo è forse la scena più coinvolgente ed emblematica del film .
Lo spavento di Ivy è dato dall'incertezza di procedere senza bastone, dalle parole del padre che le tornano alla mente a proposito delle leggende che coinvolgono il bosco, dalla superstizione del mantello sporco di fango, dall'intreccio contorto della foresta e dai continui rumori che le hanno fatto perdere il senso dell'orientamento. Eppure il regista riesce a far coincidere l'evolversi della paura di Ivy, con l'evolversi della paura dello spettatore che è puramente visiva. Con l'alternarsi di inquadrature prima del bosco, poi di lei che fugge tra i rami, poi ancora del bosco, e di rumori, versi e musica che accompagnano il tutto, il regista riesce a disorientare lo spettatore su quanto sta avvenendo e a non fargli avere più un appoggio solido sulla realtà di ciò che vede sullo schermo. Alla fine di questo primo blocco di immagini, quando Ivy si troverà nel campo di bacche rosse, non sarà certo lei a provare preoccupazione, ma lo spettatore, in quanto lei non lo vede.
La climax emozionale raggiunge il suo apice proprio quando l'inquadratura scopre il campo di bacche venendo inondata di rosso. Di seguito, viene ripreso in maniera più frenetica un nuovo alternarsi di immagini di fuga, in cui viene inquadrato il bosco per intero, provocando ancor di più un senso di disorientamento spaziale in favore di una potenza simbolica che il bosco rappresenta. Sembra come se il bosco si stia ribellando a quell'elemento estraneo al suo habitat. Preparato dalla visione del campo di bacche rosse, lo spettatore si imbatte nella vista della creatura. In questo pianosequenza Shyamalan riesce a trasmettere allo spettatore il senso della cecità di Ivy, mostrando la creatura prima in campo lungo, contrapposto alla sua mezza figura, poi spostando l'inquadratura totalmente su Ivy a coprire la porzione di spazio occupata dal mostro. La m.d.p. si sposta nuovamente a rivelare improvvisamente la creatura, questa volta lei in mezza figura, vicinissima a Ivy, che si allontana confusa di qualche metro. Ancora, a seguire, vengono ripresi i due soggetti, come a ricreare la composizione iniziale: il mostro in campo lungo e la ragazza in mezza figura. Con una finissima abilità compositiva, il regista ripropone la stessa situazione emotiva di pochi secondi prima, facendola concludere con l'effettivo attacco della creatura, che viene però mostrato in tutte le sue parti e non lasciato al fuori campo. Di seguito a questo piano sequenza ci sarà lo scontro con la creatura descritto nel paragrafo la vista nei personaggi principali del capitolo precedente.
La rievocazione della cecità di Ivy, quindi, diventa il principale mezzo per spaventare, ma anche per immedesimare lo spettatore con la sua condizione di non vedente.

Non ultimo è da considerare l'elemento da cui probabilmente il regista ha scelto il colore rosso, ovvero il sangue. Sicuramente c'è un utilizzo del rosso anche in riferimento all'uso che se ne fa in società come per i segnali di pericolo, ma il rapporto tra il "colore del male" e il "sangue" è praticamente ostentato.
Come si è ampiamente analizzato, sicuramente il rosso serve al regista per destare allarme ad ogni sua apparizione, sia per gli abitanti del villaggio che per gli spettatori, ma ancor di più sembra utilizzarlo per portare avanti un discorso filosofico sull'umanità.
Quando Noah accoltella Lucius si sporca le mani di sangue, ne riderà e ne piangerà (Noah sporco di sangue), come se capisse la strana coincidenza tra il rosso delle creature e il rosso del sangue, e, nello stesso tempo, capisse la vera entità del male, ovvero che non viene da 'fuori', da oltre il confine, ma che è sempre stato dentro il villaggio e dentro l'uomo.
Anche  Ivy sembra avvalorare indirettamente questa tesi perché nel trovare il corpo ferito di Lucius si sporca le mani e la camicia (bianca) di rosso. La sua purezza è stata intaccata (cfr. 'Frame 8' in appendice) tanto che andrà da Noah e, con ancora il rosso addosso, lo schiaffeggerà violentemente (Stanza del Silenzio: Ivy schiaffeggia Noah)

L'uso del colore giallo si può anche facilmente accostare al significato che assume  nella società statunitense dove è visto come il colore della viltà, di chi non è coraggioso, di chi si lascia sottomettere tant'è vero che la parola "yellow" in inglese ha anche il significato di vigliacco (8).
Si è visto come nel film in questione ogni volta che i personaggi si avvicinano al confine con la foresta, indossino un mantello giallo che rappresenta "protezione".
Nella scena la Prova del tronco invece, che si svolge sul confine, il mantello non viene indossato. Infatti alcuni ragazzi fanno una prova di coraggio nel posizionarsi, spalle alla foresta, sul basamento di un albero abbattuto per vedere chi resiste maggiormente prima di fuggire. Fanno ciò senza mantello, senza quell'elemento che li può proteggere. Quindi la prova di coraggio consiste nel mettere a repentaglio la vita senza nessun aiuto: senza l'aiuto della vista, con la quale si potrebbero individuare eventuali creature in avvicinamento, e senza il mantello con il colore che progette. Il coraggio viene esplicitato dall'assenza del mantello che invece dimostrerebbe solamente la codardia di chi lo indossa. Molto più semplicemente, non indossando lo "yellow"si può essere coraggiosi.
Per concludere, il giallo è il colore che assume la pelle quando si hanno dei problemi clinici legati al malfunzionamento di determinati organi. Sembra opportuno non annoverare tra le coincidenze il fatto che nell'antichità si usava porre una bandiera gialla per identificare una zona con feriti, malati o al peggio una quarantena. In The Village, stranamente, per segnalare Lucius ferito si utilizza una bandiera bianca, la quale invece è notoriamente usata come segno di pace o resa.


Gli spazi, i limiti, i confini e il colore

Analizzando questa spazialità concentrica, possiamo notare come il colore assume un ruolo determinante nell'identificazione di queste zone. Come già detto, le case ci appaiono piene di giallo, molto accoglienti, dove è impossibile che il rosso entri. Visivamente ci si accorge che ci sono troppe fonti luminose gialle che saturano lo spazio. E' assolutamente improbabile che vi compaia del rosso.
Andando più esternamente troviamo le zone comuni che sono riempite di giallo solamente a tratti, con delle macchie di fiori o con delle lanterne sparse per il villaggio. Poi c'è il confine, dove il giallo si rafforza come ultimo baluardo prima della sua assenza e andando sempre oltre si arriverà a non vedere minimamente traccia di questo colore, che viene sostituito dalla presenza del rosso. Più ci si allontana dal centro/sorgente e più il colore diminuirà. Invece la foresta è luogo sorgente del rosso, stabilendo così un'altra macro-zona cromatica.
Le dimensioni spaziali sono così ben definite e il regista riesce a farlo con grande cura, senza tralasciare ad esempio il cielo, elemento cromatico molto importante ai fini della lettura del film. Se è vero che più si va verso l'esterno dei cerchi e più si arriva alla consapevolezza della realtà, se non spirituale sicuramente fenomenica, che sfocia nell'incontro con il guardiano, dovremmo trovare una evidenza cromatica anche nella coloritura del cielo. Invece anche fuori, nel mondo reale, si vede un cielo grigio e cupo, esattamente identico a quello del villaggio, come se il regista volesse identificare i due mondi come uno solo, come se il villaggio, in piccolo, rispecchiasse tutte le caratteristiche del mondo esterno, ovvero quello reale.  
Molto importante è per esempio anche l'assenza di colori o il loro non essere evidenti. Quando gli anziani del villaggio si trovano a parlare del segreto che li opprime, non ci sono colori marcati. Vi sono colori neutri e freddi, come se per loro non esistessero le dimensioni cromatiche del giallo e del rosso e quindi non ne subissero il condizionamento. Infatti non si vede nessuno anziano indossare il mantello giallo, ed effettivamente, benché nella scena Le creature attaccano il villaggio siano gli anziani a vestire i costumi dei mostri, non li si vede durante il momento della vestizione.
Nel momento in cui Lucius e Ivy dichiarano il proprio amore l'un l'altro (Lucius e Ivy: Lucius si dichiara) si possono vedere solamente tinte fredde, legate alla notte e alla tranquillità, in cui una densa nebbia copre interamente lo sfondo, come a racchiuderli in un universo isolato privo di quei significati socio-simbolici che i due colori del giallo e rosso hanno assunto.
E' di fondamentale importanza quindi anche l'alternanza con cui il regista fa apparire i colori. Dopo la raccapricciante scena della scoperta degli animali scuoiati (Animali morti), in cui il rosso si mescola al giallo destabilizzando e scioccando lo spettatore, (9) fa seguire dei momenti di decompressione emotiva in cui è presente solamente il giallo (Festa finita) che lo accompagneranno prima alla tranquillità di Lucius e Ivy: Lucius si dichiara, per poi destabilizzarlo nuovamente nella scena L'accoltellamento. Lo spettatore quindi, ormai abituato a una certa alternanza dei colori che gli suggerisce un certo stato d'animo, si troverà del tutto impreparato ad affrontare la scena, provocandogli quindi un trauma visivo, legato al trauma fisico-esistenziale di Lucius.

Il ritorno di Ivy



Assai rilevante è il momento in cui viene raccontato il ritorno di Ivy. Ella non viene ripresa mentre scavalca il muro o mentre fa il cammino a ritroso. Bensì viene inquadrato il riflesso di una persona con il mantello giallo che cammina nella foresta (cfr. 'Frame 9' in appendice). In realtà non si vede chiaramente che il soggetto inquadrato sia la ragazza, ma lo si suppone per via della consequenzialità narrativa dei fatti. Tale circostanza ci rimanda a un evidente parallelismo compositivo.
Come all'inizio del film veniva presentato il camminare del riflesso di una figura rossa, ora si noterà il camminare del riflesso della figura gialla. Si sta camminando sopra le orme della creatura del male che prima regnava sulla foresta, come per sostituircisi.
Ciò ci fa pensare a come ormai il giallo abbia sostituito il rosso, quindi la realtà del cammino che prima caratterizzava il rosso, ora appartiene al giallo, che ne esce vincente.
Al contrario però, da un punto di vista simbolico, tale inquadratura potrebbe essere letta in maniera inversa. Se accettiamo che la figura sia Ivy, ci poniamo degli interrogativi molto seri. Raggiunta la strada che conduce al muro Ivy abbandona il mantello giallo, conscia del fatto che non le serve più il presunto potere protettivo.
Quindi sembra quantomeno strano che lo indossi nuovamente per tornare nel villaggio, se consideriamo il fatto che,  nel momento del suo arrivo nella stanza di Lucius, ella non lo porti più. Il mantello giallo è presente solamente per pochi istanti nell'immagine riflessa che riprende quella a inizio film. Perciò il valore simbolico di colei che ritorna alla propria realtà fittizia dopo aver 'sconfitto' il colore del male, se non approfondito è certamente accennato, consolidando sia la volontà di dare sostegno alle false credenze del villaggio, ma forse anche la voglia di essere protetta dal cammino nel mondo appena scoperto.
Sembrerebbe un voler accettare la realtà del villaggio e rifuggire completamente da quella del 'mondo reale'. Ivy darà al guardiano, in pegno per le medicine, un orologio, l'unico che ci è stato mostrato all'interno della realtà del villaggio. E' stato donato a chi di quella realtà non fa parte, come a volergli affidare per sempre 'il tempo del villaggio'. Sono infatti i guardiani della riserva naturale (luogo appartenente alla famiglia di Edward) che vigilano sui 'veri' confini del villaggio.
In conclusione, avendo Ivy affrontato e sconfitto il male, oltrepassato la barriera dei propri limiti fisici e mentali, sceglie di tornare indietro, nel suo luogo di origine in cui la sua vita ha avuto inizio, perpetuando e consolidando la realtà del villaggio. Il viaggio di Ivy si conclude infatti con le parole «I'm back», «sono tornata».
Ivy non conoscerà mai la realtà del 2004, non verrà mai a conoscenza della tecnologia del XXI secolo anche perchè non le è possibile vederla. Quindi il suo ritorno nel villaggio è assolutamente completo in quanto la propria dimensione fenomenica è stata intaccata solo parzialmente, non avondole provocato nessuna destabilizzazione sulla percezione del reale. Tutto è cambiato, ma la sua cecità l'ha salvata da un sicuro trauma e ha permesso il mantenimento della 'farsa' architettata dagli anziani. 

A ricerca conclusa, si è riscontrato come tutto questo sia facilmente leggibile analizzando accuratamente l'uso dei colori in ambito sociale, narrativo, simbolico e a come essi vengono stilisticamente utilizzati nel linguaggio cinematografico.

Conclusioni

Conclusioni

Quello che mi colpì di The Village fu la sua straordinaria capacità di trasmettermi un certo tipo di considerazioni fatte dal regista su argomenti di stampo politico come il potere, la delega sociale che ogni giorno viene perpetuata dal cittadino dello Stato, la difesa dei diritti civili e tutto ciò che riguarda quelle dinamiche di accettazione di un compromesso sociale, chiamato legge, che è strumentale alla vita e per la vita di una comunità. Molti infatti hanno parlato di “migliore trattazione di un film sul disagio del popolo statunitense in seguito ai fatti dell’11 settembre del 2001”. Lo stesso regista affermerà che è stato condizionato da quegli eventi nella stesura della sceneggiatura. Infatti vi sono alcune inquadrature nel film che vanno a supporto di questa tesi, come il continuo ‘mostrare’ le torrette di guardia ai confini del villaggio o la presenza costante di elementi come le campane. Se si prendesse isolata l’inquadratura della torretta, potrebbe tranquillamente essere messa a paragone con le torri di avvistamento delle basi militari in territorio ostile. Le campane invece sono facilmente riconducibili ai segnali di allarme, aumentati molto dopo l’11 settembre, che si attiverebbero a seguito di un azione ostile nemica, qualunque essa sia.
Sicuramente il disagio di una popolazione che ha subito un attacco alla sicurezza interna del Paese, avrà condizionato l’agire del regista. Sono convinto però che non volesse parlare di un fatto, seppur grave e di eco mondiale, circoscritto ai soli Stati Uniti, ma che volesse porre l’accento su come ogni tipo di comunità subisce ogni giorno abusi di potere da parte di uno Stato che governa sotto le mentite spoglie di Stato Sociale, Democrazia, Libertà di espressione e via dicendo. Ci dice esplicitamente, chiarendo la sua posizione, che è tutta una «farsa», in cui le vere decisioni non vengono concordate in sede di democratica assemblea (Sala Assemblee: consiglio anziani), ma si prendono tutte all’ombra delle istituzioni, al limite della legalità riconosciuta e con troppi segreti sulle spalle (Non è un coyote, Se non avessimo limitazioni?, Abbiamo fatto un giuramento, Dubbi degli anziani).
Questo secondo me è il punto di vista più generale utilizzato dal regista. Sicuramente il fatto di aver sempre vissuto negli Stati Uniti, ha fatto sì che le pieghe del suo racconto, o meglio della sua fiaba, si accordassero più facilmente a una realtà da lui percepita e vissuta, ma il voler dimostrare la fallacità del postulato «tutto quello che vediamo con gli occhi è reale perché tangibile di concretezza» dal lui brillantemente esposto, rientra nelle dinamiche di trattazione nel particolare di un discorso generale che è proprio di tutte le fiabe del mondo. In ogni cultura si saranno affrontate le tematiche proprie della favola di ‘Cappuccetto Rosso’, ma avranno altri nomi e altre forme. Cambiando la cultura di provenienza, il periodo storico di trasmissione della fiaba e attuando inconsciamente l’uomo i propri filtri personali, ecco che si possono avere due storie che trattano dello stesso argomento, ma con connotazioni diverse. Non è strano che il cinema, più del teatro, abbia ripreso il concetto di ‘fiaba’ tra le sue dinamiche di ‘trasposizione del reale’. La realtà percepita all’interno dell’inquadratura è solo una visione parziale di un sistema generale autosufficiente. E’ qui la genialità di sfondare l’artificiosità del dispositivo cinematografico, richiamando all’appello la vulnerabilità dello spettatore.
Ma secondo me, seppur reputo validissime tali argomentazioni, non è questo il significato ultimo della pellicola.
Ci sono molti dubbi che ancora ho su alcune inquadrature e alcune sequenze. Ho molte domande ancora che non hanno risposta, e sono consapevole del fatto che potrei non riuscire a sciogliere i nodi dei ‘perché’.
Perché fare il film? Che cosa si vuole raccontare? Che cosa vogliono dire tutte quelle inquadrature o quelle frasi che sembrano non avere motivazione narrativa, come la continua presenza di sedie vuote all’interno della storia?
Credo sia inevitabile porsi tutte queste domande, perché è plausibile e comprensibile da parte di un regista, voler trasporre su pellicola, il proprio flusso di pensieri su riflessioni riguardanti il mondo intero.
Posso provare a spiegare con la teoria quello che altri hanno fatto in pratica e posso anche tentare di dimostrare il livello artistico di un regista in base all’autorialità, analizzando la forma dei suoi codici di comunicazione e studiando questa forma in azione rispetto alle tematiche proposte.
Ma non posso leggere quei ‘segni’ che risiedono nel profondo di ognuno di noi. Questo per me è il significato dei film di Shyamalan.
Si può parlare di film politico, di ricerca di una realtà non apparente, di problematiche interpersonali che troppo hanno a che fare con la nostra vita che decidiamo di relegarle a fenomeni di prassi sociale, di fede religiosa verso un ente a cui dare o togliere responsabilità.
Possiamo parlare di tutto quello cui il film mira.
Ma solamente se mi metto a osservare i ‘segni’ che il mondo mi offre, posso guardarmi nel profondo, e, per dirla come i filosofi dell’antica Grecia, conoscere me stesso, magari sedendomi tranquillamente su una di quelle sedie che Shyamalan lascia vuote per chiunque voglia provarci. Come accade ad Ivy, che «vede il mondo» e lo scopre per quello che è, perché ne ha ‘visto’ i segni. E’ riuscita a conoscere se stessa e a decidere di tornare senza indugio nella realtà artificiosa del padre, in cui probabilmente può essere se stessa senza timore. Forse il concetto è già sentito, già visto, già archiviato, ma evidentemente interessa tutte quelle persone che come me, continuano a emozionarsi nel vedere l’ennesimo e scontato finale a sorpresa del film shyamalaniano di turno. Non è un caso che sia un concetto che funzioni e che sia perdurato nel tempo. Il problema è che alle volte ce ne dimentichiamo, delegando a uno Stato, a un capo villaggio, a un padre o madre, a un amore, a un’amicizia, a una superstizione o semplicemente a quello che ci viene detto di guardare da un insegnante, quel potere che stiamo dimenticando sempre più. Quello stesso potere che ci permette di capire e conoscere profondamente il Mondo, Dio e l’Universo, solamente guardando dentro noi stessi, con il punto di vista del mondo fuori di noi. E’ sempre la vecchia storia del ‘dito’ e della ‘luna’.
Sono convinto che in un dato momento della sua vita, forse di notte, Shyamalan sia riuscito a vedere la luna, forse anche solo per un istante e abbia visto qualcuno di quei ‘segni’. Che sia un sesto senso o l’incontro con una ninfa dell’acqua, spero che, al pari del suo personaggio scrittore di Lady in the water, non a caso interpretato da lui, i suoi film o più semplicemente il suo modo di vedere il mondo, possano influenzare il cammino di uno spettatore come hanno influenzato quello degli abitanti di un condominio con una ninfa dell’acqua nella piscina.
Il perché la scelta dei colori come punto di forza del film? Perché secondo me il film deve essere visto assolutamente con le stesse dinamiche con cui noi vediamo i colori. Ovvero tutte quelle dinamiche fisiche, psicologiche, sociali, simboliche ed emotive che aiutano a capire che il film non è solamente un’idea ben congegnata trasposta su pellicola, ma, per dirla con Ejzenstejn, è l’insieme di quella «orchestra compositiva» che genera ramificazioni in tutte le sue parti, portando le percezioni a non accontentarsi di ciò che vediamo e sentiamo, ma di considerare che «il tutto, non è la somma delle parti». Essendo il film un’opera d’ingegno collettivo, mi viene da pensare a come ognuno che abbia partecipato alla sua composizione, possa aver contribuito amplificandone ogni sua più piccola ramificazione. Credo infatti che i titoli del film possano aiutare anche in questo caso una lettura della questione. Infatti non solo i nomi degli attori e del regista si mescolano ai rami degli alberi, come a identificare un’interazione con essi e con il loro significato, ma anche i nomi dei principali capi sezione del cast tecnico, come la produzione, la scenografia, il montaggio e via dicendo, a rappresentanza di tutti coloro che vi hanno lavorato.
C’è da dire che il film pare avere un finale pessimista. L’enorme immaginazione di Shyamalan, la sua voglia di ritornare agli elementi del fantastico che tanto fanno sognare gli artisti, gli inguaribili romantici e non ultimi i bambini, sembrano però fermarsi di fronte alla sterilità e alla freddezza del mondo reale, fatto di gerarchie di potere e costumi sociali che tengono la testa ben salda sulle spalle, costringendo anche chi è loro accanto. La massima autorità che ci è presentata nel film, il capo dei guardiani, mette profonda angoscia per come è presentata. Innanzitutto è vista di spalle e se ne può intravedere il volto solamente riflesso in un vetro, come se tutto quello che rappresenta, spiegato fino ad ora, non sia facilmente identificabile e quindi non affrontabile, poiché non si può combattere un nemico se non lo si conosce. L’altra cosa, forse quella che conferma maggiormente il coinvolgimento emotivo del regista, è che il capo dei guardiani è stato interpretato da Shyamalan stesso. E’ nota la sua passione per la recitazione, ma non credo che nei suoi film egli si presti solamente come un elemento di cameo, ma che dia significato al suo ruolo di artista, tanto che in Lady in the water interpreterà un personaggio fondamentale, da leggersi con valore simbolico rispetto al suo essere regista. Di conseguenza, credo che il suo porsi al vertice massimo di questa farsa voglia dimostrare come nessuno di noi, anche una persona particolamente ispirata o con una sensibilità fuori dal comune, possa estraniarsi dal contesto della realtà. Tutti, nel bene o nel male, partecipiamo alla ‘grande farsa del mondo’ ed è quindi inutile e profondamente sbagliato rinchiudersi nelle proprie realtà, quelle che ognuno di noi si crea per difendersi da ciò che ci fa paura, da ciò che è fuori. I mondi fantastici, l’immaginario fiabesco, le favole stesse, non devono essere motivo di allontanamento dalla realtà in favore di un limbo esistenziale per la ricerca di una tranquillità sensoriale. Al contrario, servono per affrontare tale realtà con sempre più consapevolezza di se stessi e del mondo, per poter essere felici.
Questa visione assolutamente personale, un po’ poetica e forse troppo emotiva, secondo me aiuta comprendere come non sia importante leggere ogni piccolo particolare che l’artista ha posto all’interno dell’opera, perché ci sono troppi fattori che non è dato conoscere ed è giusto che noi non conosciamo.
Possiamo tentare di capire quali ingredienti segreti un grande chef ha utilizzato per rendere speciale una portata, ma non potremo mai conoscerne veramente le dosi, il momento in cui sono stati aggiunti, se qualcuno lo ha aiutato e così via. Possiamo conoscere i più stupefacenti trucchi di illusionismo di un grande mago, ma ci rovinerebbe il gusto e la sopresa di guardarli.
Possiamo solo cercare di dimostrare come vi sia forma della ‘contemporaneità’ di linguaggi (come il montaggio, la recitazione, l’uso del dispositivo cinematografico, lo sfruttamento della psicologia che investe lo spettatore, il colore, la drammaturgia ecc...), che sussista un’azione di messaggi ‘co-esistenti’ (come il messaggio sociale e politico, la ricerca delle emozioni dimenticate, i buoni sentimenti, i concetti come ‘potere’ e ‘servitore’ ecc...), ma non penso si possa dimostrare che le idee messe in atto nell’opera possano essere recepite da tutti i ‘decodificatori’ del messaggio. Il pubblico che ne fruisce ne può leggere una parte, ma non tutto, perché i codici e il gergo che vengono usati sono eccessivi e a volte molto complessi. Il regista, e in generale l’artista, cerca solamente di mostrare i risultati e le riflessioni del proprio cammino interiore di ricerca tramite la propria arte. Non cerca di imporre una ‘morale’ a cui il pubblico devono sottostare, ma, proprio come nelle fiabe, la mostra all’interno di una cornice personale di interpretazione.
L’opera di un’artista avrà quindi paternità autoriale nel momento in cui lancia un messaggio soggettivo e oggettivo allo stesso tempo, su più canali di comunicazione, per diversi pubblici e con diversa autorevolezza. Se viene data la possibilità intellettiva e intelleggibile di una lettura superficiale, ma anche di una lettura più approfondita, si avranno diversi livelli di comunicatività del messaggio che permettono una fruizione più vasta, andando a coinvolgere più pubblici diversi nello stesso istante. Ecco dunque l’intelligente strategia di Shyamalan di presentare uno stile narrativo leggibile sia dall’amante dei film horror e fantastici, sia da chi si ferma a osservare le pieghe più nascoste del tessuto narrativo del film.
Rimango quindi dell’idea che un film possa essere analizzato, studiato, scomposto, destrutturato, ma che non possa essere compreso fino in fondo.
Nonostante questo si può godere a pieno di tutto quello che si riesce a vedere, di tutti quei segni che si è disposti a percepire e di tutte le storie che vi sono raccontate.